Naturalmente… Velvia

La mia prima apparizione a Monte Livata fu in una tragica mattina di gennaio del 1974, quando i miei decisero che era tempo di confrontarsi con la disciplina dello sci e convivere per tutta la vita con locuzioni come “Cristiania a monte” e “Angolazione del bacino e della cresta iliaca”. La passerella di alto rango impone eleganza e allora ecco sfoggiare un completo stile scozzese probabilmente rinvenuto alla luce rovistando nei magazzini polverosi dei negozi sportivi della Capitale. Era la moda anni ’70 bellezza, che vuoi che ne sappiano i Millenials

Roba forte. Ma già dal piglio deciso (ma anche un po’ preoccupato) esibito in questa immagine 😎 si sarebbe potuto intuire cosa sarebbe diventato più in avanti lo sci per me, dalla pista allo sci alpinismo, dai canyon in neve fresca della Marmolada, al salto nel vuoto dal balconcino di ingresso del Ghiacciaio del Calderone, di Sua Maestà Gran Sasso d’Italia.

Oggi, insieme a Vincenzo (qui il suo articolo per un tiro incrociato), a Monte Livata ci torno così: con una Fujifilm X-T5 al collo e mimetizzato nel fogliame arancio-fuoco di un autunno avanzato. Avevamo grandi prospettive quest’anno … una quattro giorni in camper per i laghi del Cadore ad esempio… poi tra impegni del lavoro e magagne alla schiena i quattro giorni si sono trasformati in una girata sui Simbruini.

Comunque, si salpa di buon mattino, volgendo la prua direzione Roma Est, dapprima su un Grande “Ricordo” Anulare che è una marea di lamiere in tempesta, in seguito su una A24 assolata che riporta la dovuta calma. Sulla Sublacense si veleggia leggeri, sino allo stacco dei curvoni aerei della ascesa per Livata, dove arrivano i primi colpi di colore; la strada prende il volo, tra tornanti arditi, strambate piratesche a paesaggi aggettati sulle assolate propaggini del Guadagnolo. Le ultime curve regalano improvvise visioni, tra faggi che si accendono di giallo-arancio e mucche che giocano a mezza gamba nell’acqua del laghetto artificiale. Primi scatti concitati, prima della salita per Campo del’Osso, dove l’asfalto nero serpeggia nervoso dentro muri di colore abbacinante. La natura gioca spavalda, ricama ragnatele di ombre su distese di foglie color prugna e contrasti intensi al limite dello spazio colore.

Noi letteralmente ci perdiamo, tra piazzole e radure e rami dai colori e dalle forme oniriche; giochiamo con le ottiche e le focali, prima di addentrarci sulla provinciale per Jenne e approdare all’altopiano, dove raggi radenti si mischiano all’umidità a accarezzano le schiene di cavalli selvaggi al pascolo su prati lisci come biliardi; il tutto immerso nel sapore di un inizio tramonto che vira al rosso fuoco.

Rientriamo ebbri di colore, di respiro, di emozione e di inquadrature; rimane questa galleria fotografica fatta di silenzio e sussurro della Natura.

Due righe a compendio: il titolo del pezzo richiama la celebre pellicola Fujifilm di antichi fasti fotografici. “Velvia… e sai cosa vedi”, si potrebbe dire. Protagonista indiscussa di tutti i miei viaggi fotografici del passato, la versione diapositiva a 50 ISO scolpiva nella pellicola colore e nitidezza, da far venire le barba ai neonati (come era solito dire mio zio Angelo, sfegatato collezionista di attrezzature fotografiche). Un plauso a Fujifilm, per aver messo a disposizione nelle sue simulazioni pellicola questo pezzo da novanta della storia della fotografia. I risultati sono pressoché fedeli all’originale; le immagini non sono ritoccate, ho esclusivamente schiarito un po’ le ombre perché in quasi tutti gli scatti c’è una sottoesposizione di 1/3 o 2/3 di stop, per prevenire la bruciatura delle alte luci che si insinuavano tra i rami della vegetazione.

La strada


Fotografia, Fujifilm, Lazio, Livata, Montagna
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