Veni, vidi, Vulci.

Oggi il vento ci porterà via…
Sono raffiche improvvise, tese, che si incanalano nelle volute della forra sotto il Ponte del Diavolo e guadagnano accelerazione, tenacia.
Intorno, verso ovest, le nuvole sono fratturate. Lo schermo compatto si è incrinato come un vetro colpito e ora lascia una linea ed un trasudo celeste cenere; è l’alta pressione che agisce da lontano.
Sono sulla chiave di volta del ponte; da un lato il castello, dall’altra cavalli e mimose, prati verdissimi al destarsi della primavera; sotto, a trenta metri, il Fiora, con le acque gelide color piombo, che modella il tufo in arcaiche strutture e scolpisce linee, curve, insenature, anfratti, in un percorso perfetto, sfuggente e lontano nel tempo.
Qui correva il confine tra il Papato ed il Granducato di Toscana; qui oggi corre l’ideale confine della Maremma, tra colline dal morbido profilo ed alberi solitari ed enormi. Un tempo regno di scorribande di cavalieri e di feroci tentativi di conquista saracena. Oggi i segni orizzontali sui blocchi di tufo del ponte rivelano il passaggio di antichi carri; la stratigrafia della costruzione ci mostra come un libro aperto il succedersi di architettura romanica e medioevale, perfettamente sovrapposta e combaciante, come se i secoli ed i millenni si possano fondere in una sottile linea architettonica.
Al centro la presenza abbacinante della Badia fortificata, circondata dal fossato con l’acqua, che un complesso sistema di condotte preleva da una sorgente remota ed incanala tra solchi e rughe del terreno. Sembra un monolito, una rocca inespugnabile, priva di fessure, punti di rottura. Ad est modellata nelle circolari torri di difesa, ad ovest aperta verso il fosso, più morbida, attaccabile, più gentile. E’ una struttura piena di forza evocativa. Si percepisce netta la presenza dei Templari, che furono qui nel XIII secolo.
Intorno, il canneto ondeggia, quasi impaurito dal vento. Sembra la danza dei fantasmi che albergano nella rocca. Il fruscio del vento si fonde con quello delle acque in un suono unico ad 1KHz, la frequenza più naturale che il nostro orecchio possa percepire e che dicono abbia poteri rilassanti per il corpo, come lo sciabordio delle onde sul bagnasciuga.
Allontanandosi da questo crocevia di storie e dominazioni, l’ossimoro della centrale elettrica di Montalto, lo spettro moderno e più in là ottuse ed assurde rotatorie che non portano in alcun luogo. La statale corre dritta fino a Canino, come una rotta aerea transoceanica. Voliamo a bassa quota tra greggi di pecore sospese nel verde e cerri dall’aspetto lugubre come neri ectoplasmi, che sembrano tentare di raggiungere il cielo in un groviglio di rami contorti e sofferenti, come le anime sepolte in queste terre, nel cimitero sconsacrato e trasformato in campo coltivato, del quale rimane la spoglia e fredda architettura della cappella votiva. Vicino ronza il depuratore delle acque del paese.
Non so se abbiamo capito questo percorso, depistati da segni e simboli, da cartelli stradali trasformati in figure antropomorfe.
Non so se quelle inusitate presenze, là vicino al fiume, avessero il senso di un avviso, di una premonizione, di un accostamento tra età e realtà diverse.
Ci sono verità, così ben celate in noi, che neanche la storia sa svelare…

Gianluca

Fotografia, tuscia, vulci
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1 Commento. Nuovo commento

  • Come al solito un bel racconto breve con le belle foto che mi lasciano sempre stupito perchè, pur passando davanti agli stessi soggetti o alle stesse scene, sai cogliere cose che al contrario io non vedo o non mi attraggono. Fascino della diversità!

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