Tennis Master di Roma – Parte I

Adoro il tennis. In primis perché nella mia vita ne ho giocato tanto: tre anni di Coppa Italia e tante ore di allenamento e teoria. Poi perché di questo sport amo il gesto tecnico, la precisione del movimento in relazione alla forza muscolare, l’eleganza del gesto e, non ultimo, l’aria che si respira dentro e fuori dal campo e le relazioni umane che si intessono, pulite, solari.
Ho deciso di tornare, dopo molti anni, al Foro Italico per respirare nuovamente quell’atmosfera. Grazie ai contatti che ho con lo staff di Sergio Tacchini, che quest’anno è tornato prepotentemente ai vecchi fasti, arricchendo in modo elegante l’immagine complessiva del torneo, ho passato un intero ed assolato pomeriggio nel loro stand e sulla loro terrazza, coccolato e viziato, tra interviste nella postazione Sky allestita all’interno dello stand ed ameno chiacchiericcio con alcuni illuminati del settore. Poi ho razzolato tra i campi minori del circuito, curiosando fra i set delle qualificazioni femminili, scoprendo ed ammirando ragazzette appena diciottenni, con tatuaggetto incluso, tirarsi delle bordate impensabili da fondo campo e svolazzando come falene impazzite tra i quattro angoli di terra rossa, fra mugugni e gridolini di rabbia per i punti buttati nel vento. Ho visto grinta da vendere, ho ricordato i meravigliosi anni passati sul campo, stanco, sudato e sporco fino alle orecchie, insieme agli altri della squadra, ho risentito nella mia testa grasse risate e battute sagaci tra una palla ed un’altra… Momenti indimenticabili.
Poi, in chiusura, quando stavo riponendo la macchina fotografica nella custodia, la chicca della giornata: su una panchina, all’interno dell’area sponsor, attorniati da un discreto ed ammirato capannello umano, Nino Benvenuti ed Emile Griffith, due icone del pugilato di altri tempi, le due sponde dell’Oceano Atlantico, Italia e Stati Uniti, che nel passato se le sono suonate di santa ragione e che adesso rinsaldano un’atavica amicizia, nata decenni fa sul ring ed oggi raccontata in un libro fotografico “Diari paralleli”, scritto da Mauro Grimaldi ed edito da Il Levante. Griffith ha 71 anni, è malato di Alzheimer ed in gravi difficoltà economiche. Il suo viso, solcato da rughe sagge e profonde, trasuda un fiume di umanità; i suoi gesti, quasi puerili, sono pacati, morbidi, velatamente tristi.
Sono rimasto assorbito dal momento, mentre scattavo alcune immagini, rapito dall’emozione e dal silenzio che regnava intorno, pieno di rispetto ed ammirazione per lo sport e per gli uomini che lo costruiscono e lo vivono.

Gianluca

Fotografia, Sport
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